Venti stagioni alla Virtus dal 1932/33 al 1951/52 e poco importa se in alcune di queste disputò solo amichevoli; quattro gli scudetti vinti. Poi allenatore e dirigente delle V nere. E in nazionale trentanove presenze spalmate tra il 1935 e il 1948, due Olimpiadi, un argento ai campionati d’Europa, un anno di panca azzurra come C.T. Se consideriamo l’interruzione dovuta alla seconda guerra mondiale, un curriculum da grandissimo. Era nato il 4 dicembre del 1915 e ci ha lasciato nel maggio del 1987.
Ogni tanto piazzava le gambe sulla riga del centrocampo e da lì scagliava la bomba. “Mi andò benone una volta a Varese, canestro da metà campo e vittoria importantissima per uno dei quattro scudetti. E a Parigi, già, a Parigi nel ’38 non sapevamo come risolvere la situazione. Ai pans ‘mme, datemi la palla. Gran botta da metà campo, vittoria sulla Francia, Parigi conquistata e tanto champagne”. Era un centro, ma in realtà queste sue dichiarazioni sono la migliore testimonianza di quanto fosse universale come giocatore.
I primi virtussini che si cimentarono nella palla al cesto venivano dall’atletica e anche Giancarlo, che arrivò pochi anni dopo, era atleta vero, praticante il mezzo fondo e il salto in alto (anche il rugby), ma aveva la pallacanestro nel destino, era infatti nato proprio di fronte alla “Santa Lucia” e iniziò a frequentare la palestra, come accadeva a quelli della zona, come Bersani, Vannini, Rapini e Ranuzzi. Al nome di Giancarlo Marinelli è legato anche un episodio curioso, accaduto nel 1936, durante un torneo. La finale vede impegnata proprio la Virtus di Marinelli e il Parioli di Roma dove gioca il figlio del Duce.
L’imbarazzo è grande perché un po’ tutti credono di sapere come “deve” andare a finire. Com’è possibile fare uno sgarbo al figlio del Duce? E invece Giancarlo Marinelli “se ne frega” e, poiché è di gran lunga il miglior giocatore sul terreno, fa il diavolo a quattro, e porta la Virtus alla vittoria fra l’imbarazzo di quasi tutti e la soddisfazione di pochi. “A quei tempi si giocava senza vedere una lira, si andava in trasferta col cartoccio dei viveri, si viaggiava la notte per non spendere i soldi dell’albergo” avrebbe raccontato anni più tardi Marinelli “In quel torneo c’era in palio una medaglia d’oro ed io avrei dovuto lasciarla perdere? In campo siamo tutti eguali, nessuno è privilegiato“.
Un altro aneddoto lo raccontò Gigi Rapini: “Ricordo una volta che eravamo al campo di via Valeriani, perché la domenica mattina andavamo sempre alla Virtus e giocavamo a pallavolo, ma lo facevamo senza regole. Passò di lì il gestore o il proprietario del Caffè dei Cacciatori, non ricordo esattamente. Costui attraversò il campo in un angolo e Marinelli gli urlò ‘ehi, amico. Tu devi girare fuori dal campo, eh’. Avrà tagliato il campo di due metri, facendo quattro passi al suo interno. Al tornare indietro passò ancora da lì. Come lo vide fare lo stesso taglio, Marinelli cacciò via la palla e gli si lanciò addosso dicendogli ‘ti avevo detto di non passare di lì’” e gli cacciò una botta che lo stese. Io gli ero di dietro, lo presi e gli dissi “Giancarlo ma cosa fai?” ma subito arrivò Venzo Vannini che mi tirò giù le braccia e mi disse “si tiene sempre stretto l’avversario, mai il tuo compagno”.
A cura di Ezio Liporesi (©BasketCity.net)