29 Marzo, 2024

Virtus, Top & Flop della stagione 2017-18

Virtus, Top & Flop della stagione 2017-18

Finita anzitempo la stagione del ritorno in A1 centrando l’ingresso alle F8 di Coppa Italia ma mancando nel finale quello ai playoff, per la Virtus si profila un cambiamento che se non sarà totale di certo sarà strutturale. In attesa di vivere il futuro facciamo un sunto di quanto accaduto.


Top

Pubblico ritrovato
Si apre la campagna abbonamenti e in breve tempo si raggiunge la soglia delle 5.200 sottoscrizioni, la società interviene per fermare il tutto, non avevano pensato nemmeno nelle più rosee aspettative che si potesse osare così tanto. Al PalaDozza non si è mai visto un seggiolino vuoto nonostante le ben 6 sconfitte casalinghe, il popolo Virtus ha riabbracciato un sogno, da qui occorre partire.

Vittoria a Brescia
Il punto sportivo più alto, l’unico scalpo delle Top 4 in faretra, recuperato pure in trasferta contro la sorpresa dell’anno. Le V nere che hanno perso sempre contro le squadre che la precedono si tolgono questa soddisfazione al termine di una partita non solo vinta ma giocata imponendo i propri ritmi e contro i fratelli Vitali sempre poco in sintonia col pubblico bianconero. Da qui si sognano i playoff quasi dovuti, in realtà sarà l’ultimo vero squillo tonante.

Marcus Slaughter
Arrivato al posto di un Shane Lawal fisicamente non integro per iniziare la stagione, l’ex campione d’Europa col Real è il perfetto completamente di una squadra che ha in altri le stelle deputate a segnare e illuminare. Lui fa, sovente da solo, reparto nel pitturato, rimbalzi, difesa, chiusura su chiunque con troppa facilità arrivi al ferro, più volte si impone anche offensivamente nonostante non si giochi mai per lui. Arriva sfiancato al termine, con troppi minuti sul groppone e qualche acciacco preso volando da un parquet all’altro. Molto al di sopra di quanto la specialità della casa aveva offerto in altri contesti.

Alessandro Pajola
Inizia il campionato da diciassettenne, vede il campo solo quando saltuariamente mancano i protagonisti, quando le assenze divengono costanti si scopre un “cinno” in grado di difendere alla morte (soprattutto sul portatore di palla), sveglio nel comprendere le situazione e sempre al posto giusto nel momento giusto (dote che non si insegna). Davanti rare responsabilità, ma come dimostrano i numeri del discusso +/-, con lui in play la squadra gioca più equilibrata. Deve continuare a giocare a questo livello per crescere, confrontandosi con giocatori scarsi si perde di efficacia e di mentalità.

La difesa di Oliver Lafayette
Sarà che avrà provato a dar tutto in questo fondamentale, ma alcuni suoi passaggi son stati da cineteca, l’ultimo contro Jason Rich, MVP del campionato. Ha subito solo qualche play veloce ma soprattutto piccolo come Moore di Brindisi e Smith di Cantù, per il resto son stati dolori per tutti gli esterni. Purtroppo era qui per fare il play e per infilare le stoccate decisive, e lì non è certo giustificabile. Ma questa difesa rimarrà a lungo negli occhi degli appassionati di questo gesto.


Flop

5° Straniero
Aspettando Godot a tutti gli effetti. La Virtus è l’unica formazione che non gioca una partita che sia una con 5 stranieri. Se l’idea estiva di attendere nella scelta dell’ultima aggiunta a disposizione può avere un senso, questa poi deve essere effettuata e con costrutto. Arrivare a 3 giornate dalla fine per inserire un giocatore proprio quando un altro è ai box in altro ruolo, non ha una logica. Che poi capire qual’era il ruolo giusto da completare fosse complesso è un altro discorso, al quale però sono delegati professionisti pagati per convincere chi deve sborsare la pecunia a procedere. Se queste indicazioni ci sono state e dalla stanza dei bottoni non si è intervenuto è una problematica interna che risiede sotto alla voce dello straniero mancante, magata se il risultato arriva, colpevolezza se non avviene.

Play
Un play d’ordine manca, se il cambio è già definito in Stefano Gentile, scegliere Lafayette che ha caratteristiche non identiche ma di certo non molto dissimili è un errore di fondo. Non c’è mai un’opzione differente nella gestione dei ritmi, nessuno che sappia mettere in ritmo un tiratore come Umeh, non si riesce mai a vedere un pick’n’roll per Slaughter e troppe conclusioni nei finali proprio da questo 2 son più errori che trionfi.

Gruppo italiano, risultati non raggiunti
Affidarsi ad un gruppo italiano per far la differenza, di nuovo, non paga. La Segafredo che ci tiene a questa identificazione fa sì che gli stranieri siano di complemento ma le stelle steccano, sovente nei finali, mancano personalità e qualità. E’ un male comune ad altre situazioni, la foto che fornì Sassari, straniera all’ennesima potenza contro una Reggio italianissima è storia, oggi ci troviamo in una situazione analoga. Non un caso che i migliori italiani non giochino nel campionato, da Melli a Datome passando per Hackett, tutta gente che ha trovato la propria consacrazione all’estero dove per avere visibilità occorre sempre migliorare e non basta la nazionalità per essere in squadra.

Kenny Lawson
Scommessa persa, ma giusto averci provato. Il giocatore che più ha spostato gli equilibri nel campionato di A2, in A1 ha faticato. La sua tecnica ed i suoi polpastrelli fatati non emergono quando la velocità aumenta e l’atletismo sale di spessore. Ha avuto qualche exploit (Torino su tutti) ma mai continuità, dietro poi un disastro, confrontato con Slaughter ancora di più perché se non segnava 10 punti a fila in un amen lasciava spazio a chiunque nell’area di casa e si subiva, tanto, troppo.

Finali di partita
Un male che ha attanagliato la banda Ramagli dalla prima amichevole al termine del campionato. Se a settembre si imputavano le colpe ad un gruppo nuovo formato da componenti troppo diverse per essere subito integrate, il problema non è mai stato curato. Sarà colpa del coach, ma evidentemente anche il materiale umano a disposizione non ha mai fatto un passettino avanti nel provare a curarsi da solo. I finali punto a punto son costati un mare di punti, quelli messi in saccoccia o sono arrivati grazie a vantaggi dilatati (vedi Brescia) o a regali altrui (Cremona).

Alessandro Gentile
E per finire veniamo al giocatore centrale della stagione, arrivato grazie ad un corposo contributo di Milano, che ha preferito pagare per non doverlo avere di nuovo in squadra. Ha mostrato momenti di onnipotenza, ma una volta studiato dai coach avversari e battezzato al tiro le sue partite son diventate condizionanti per le V nere. Non si discute l’atteggiamento, non ha mai fatto la stella bizzosa per intenderci, anzi, ma il gioco monocorde, ha fatto sì che servisse un campo tutto per lui dove provare ad andare al ferro in ogni modo altrimenti perdeva di efficacia. Certo, se lo fai contro il Cardillo della situazione ci può stare il partitone, contro avversari di livello e squadre organizzate un adeguamento e via, la partita cambia e non trovava alternative. Altro problema dato da un fisico così possente sono gli infortuni, troppi per poter pensare di far la squadra su di lui. Scommessa persa? Non in termini assoluti, ma non può essere il centro del sistema, e lui di lato diventa poco redditizio per le aspettative che si avevano.


Né Top né Flop

Pietro Aradori
Statistiche di alto livello, davanti bravo a far rendere quanto di meglio ha da offrire, percussioni dove un fallo lo recupera quasi sempre e converte i liberi da secondo nel campionato e affidabile al tiro. Questo nei primi 30-35’, nei finali si ricordano più errori e passaggi scentrati. Dietro invece vive di esperienza e sovente latita, ma lo si sapeva. Non è però l’uomo a cui andare quando c’è da far la partita, e per chi arriva voluto fortemente dalla proprietà non è proprio un buon segnale. Ha contratto e dovrebbe rimanere, ma è chiaro che dovrà essere affiancato dal califfo di turno, ruolo che non può interpretare, ma rimane prezioso.

Alessandro Ramagli
In un ambiente che sogna Ettore Messina ad ogni giro di lancette, lui risponde con la promozione al primo anno, non così scontata, e tenendo botta nel secondo ad un ambiente dove gli spifferi lo danno in uscita una settimana sì ed una no, mantenendo compatto un gruppo non certo voluto da lui. La squadra non mostra una grossa variazione sul tema dei giochi, ma più volte dallo sprofondo riemerge gagliarda, segno che nel chiuso dello spogliatoio sa toccare le corde giuste.

Michael Umeh
Parte dalla panchina, deve tamponare le luci storte delle presunte stelle, più volte riesce a farlo grazie ad una mano felicissima dall’arco (oltre il 40%) anche se non gli costruiscono mai un tiro in uscita dai blocchi. Dietro come prevedibile fatica, ma come specialista fin quando la salute l’ha assistito il suo l’ha fatto.


A cura di Luca Cocchi

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